Ercole

La conquista del Vello d'Oro(parte I)



Fatti i debiti sacrifici agli dèi, Giasone e i suoi acompagni salparono dal porto di Iolco verso l'Oriente.La navigazione durò due anni e fu turbata da numerose burrasche e da varie peripezie. Dopo una lunga sosta a Lemno, la nave toccò la Samotracia e arrivò a Cizico. Qui gli Argonauti, avendo trovato un buon porto tranquillo, volevano germarsi qualche tempo per riposare, senonchè, noottetempo, mentre essi dormivano, vennero giù dalle montagne vicine numerosi giganti con sei braccia, i quali, portando grossi macigni, tentarono di chiudere con questi la bocca del porto, per impafronirsi della nave. Scoperti a tempo dalle sentinelle, fu dato l'allarme. La battaglia volse in favore degli Argonauti, specialmente per merito di Ercole che, con la sue frecce avvelenate, uccise parecchi giganti e mise in fuga gli altri.

Ripreso il viaggio, la nave arrivò a Salmidesso di Tracia, di cui era re l'infelice indovino Fineo. Avendo costui avuto il dono del vaticinio da Apollo, aveva incautamente rivelato agli uomini alcuni fatti futuri che Zeus voleva segreti, perciò il dio, irato, lo aveva reso cieco e lo faceva tormentare dalle Arpie, mostri col viso di donna e il corpo di avvoltoio, i quali insozzavano i cibi delle persone che esse prendevano a perseguitare.
Zete e Calais, i due figli alati di Borea, cacciarono le Arpie dal paese e le inseguirono a volo fino alle isolo Strofadi. Libero da quel supplizio, il riconoscente Fineo predisse agli Argonauti le difficoltà che avrebbero incontrato, consigliando le precauzioni che avrebbero dovuto prendere per superarle. e soprattuo per superare il difficile passo delle rupi Simpleagadi per entrare nel Mar Nero. Queste due rupi, l'una da un lato e l'altra dall'altro dello stretto, non stavano ferme; ma quando una nave tentava di passare, si muovavano sbattendo l'una contro l'altra e prendendo in mezzo la nave, che schiacciavano. In grazia ai consigli di Fineo, la nave Argo superò felicemente quel passo e fu la prima nave che dall'Egeo potè entrare nel Mar Nero. Da allora le Simpleagadi restano ferme al loro posto e tutte le navi possono entrare ed uscire a loro piacimento attraverso lo stretto.

Giasone

Giasone era il figlio più bello e più coraggioso del re di Iolco in Tessaglia: Esone, e della regina Alcimede. Un giorno il fratello del re, Pelia, uomo senza scrupoli e ambiziosissimo, spodestò Esone facendo strage dei figli per timore che un giorno potessero rivendicare il proprio regno. Solo uno dei figli si salvò, Giasone, grazie alla madre che riuscì a nasconderlo sul monte Pelio e lasciarlo alle cure del centauro Chirone perchè lo educasse saggiamente. Infatti Giasone diventò un uomo colto, robuto e garbato, il centauro gli aveva insegnato il rispetto per gli Dèi, l'arte militare, l'idea della giustizia, la medicina, la musica, e lo aveva addestrato ad ogni esercizio fisico.
Un giorno Pelia tormentato dal rimorso, interrogò l'oracolo che gli raccomandò di guardarsi da un uno che un giorno gli si sarebbe presentato con un piede calzato e l'altro senza il sandalo.Così fu, un giorno in cui Pelia stava celebrando un sacrificio a Poseidone gli si presentò un giovane , che era appunto Giasone, con un piede scalzo. Fattosi riconoscere dallo zio, Giasone rivendicò il suo diritto al trono; Pelia restò stordito e confuso dalla sua richiesta e a denti stretti riconobbe il buon diritto di Giasone. Per prendere tempo però, Pelia disse a Giasone che prima di salire al trono era consono nel suo interesse darsi lustro con qualche impresa importante, e gli suggerì quella di conquistare il Vello d'oro nella Colchide.
L'ingenuo Giasone accolse la proposta dello zio e preparò tutto per la spedizione, radunò 59 uomini scelti, risoluti ad ogni prodezza tra cui ricordiamo: Peleo, re dei Mirmidoni e padre di Achille; Laerte, re di Itaca e padre di Ulisse; Tifi, esperto di astronomia e di venti; i due Diòscuri Càstore e Pollùce; Zete e Calais, i due figli alati di Borea(il vento del nord); Tideo; Anfiarao, Orfeo, il divino cantore; e Ercole, l'eroe degli eroi. Giasone per far costruire la sua nave si rivolse al più bravo degli architetti di quel tempo; infatti gli fece la nave più bella e salda che si potesse immaginare, alla quale quando fu varata, venne dato il nome stesso del suo costruttore, Argo. Dal nome della nave furono chiamati Argonauti, i partecipanti alla spedizione. Alla perfezione della nave aveva collaborato la dea Atena in persona, che ne aveva tessuto le vele e aveva fatto tagliare l'albero di prua da una delle querce sacre di Dodona, le quali avevano la facoltà di parlare e di conoscere il futuro. Capo della spedizione fu eletto per acclamazione: Giasone.

Le fatiche di Ercole: la cattura di Cerbero


Cerbero era un cane spaventoso con tre teste; come ultima fatica, Euristeo comandò a Ercole di portargli questo cane. Per catturarlo bisognava scendere nel regno dei morti, dove una volta entrati era difficile uscirne. Il dio Hermes volle aiutarlo e scese con lui nell'Erebo; Cerbero, che era guardiano del mondo infernale, non poteva allontanarsi dalla porta del Tartaro, tuttavia Hermes riuscì a convincere Hades a far allontanare il mostro, così Ercole potè portarlo nel mondo dei vivi purchè non facesse uso di armi. Ercole avanzò verso Cerbero, che aveva tre teste ma, per fortuna, una gola sola, allora l'eroe lo strinse in gola e la belva stava quasi per soffocare; ridotto all'impotenza fu facile legarlo e trascinarlo davanti al re Euristeo, il quale notando la bruttezza del cane, ordinò a Ercole di riportarlo nell'Erebo.

Erano passati ben dodici anni, e Ercole aveva affrontato dodici difficili imprese, ora era libero e non doveva più stare agli ordini di Euristeo. Riavuta la libertà approfittò per liberare il mondo dai briganti e decise di offrire il suo coraggio in difesa dei più deboli e degli oppressi.

Le Fatiche di Ercole: i pomi delle Esperidi

Le Esperidi, figlie di Atlante e di Espero, la stella della sera, erano le ninfe del tramonto ; queste bellissime fanciulle avevano il compito di custodire un bellissimo giardino, in cui è sempre primavera: le aiuole sono pieni di fiori di ogni colore, dagli alberi pendono frutti enormi e dolcissimi. La meraviglia delle meraviglie è nel mezzo del giardino, un albero dalle foglie di un verde lucido con rami carichi di frutti d'oro. L'albero era stato ragalato da Gea a Hera il giorno delle sue nozze con Zeus e le fanciulle dovevano ben custodirlo insieme al terribile drago di nome Ladone. Il re Euristeo sentì parlare di questi frutti e comandò a Ercole di portarglieli, così l'eroe dopo l'impresa dei buoi rossi si incamminò subito alla ricerca del giardino dell Esperidi. Durante il suo girovagare, un giornò si fermò sulle rive di un lago a riposarsi, dalle acque del lago emerse una ninfa che chiese ad Ercole il motivo della sua stanchezza; l'eroe spiegò alla ninfa che stava cercando il giardino delle Esperidi e la ninfa gli consigliò di rivolgersi a Nereo. Nereo, che era una divinità del mare che poteva prendere qualsiasi forma, per sfuggire alla domanda di Ercole cominicò ad assumere tutte le forme possibili e immaginabili per spaventarlo, ma abituato a ben peggio Ercole rimase li fermo ad aspettare la fine dello spettacolo; così Nereo, avendo dimostrazione del coraggio del giovane uomo confidò ad Ercole che il giardino delle Esperidi si trovava in Mauritania, il paese di cui era re il titano Atlante, padre delle Esperidi. Giunto all'estremo lembo occidentale del mondo, dove trovò Atlante che sorreggeva sulle spalle la volta pesante del cielo, l'eroe gli espose lealmente il desiderio di avere i frutti d'oro del suo giardino; Atlante acconsentì facendogli però notare che i frutti poteva coglierli soltanto lui e che aveva un problema: chi avrebbe sorretto il cielo al posto suo? Ercole si propose subito come suo sostituto. Atlante andò a cogliere i frutti, tornando però disse ad Ercole che non se la sentiva di riprendere quell'incomodo compito di sorreggere un peso sulle spalle e dal momento che aveva trovato un così bravo sostituto...per quanto riguardava i frutti d'oro li avrebbe portati lui stesso ad Euristeo. Ercole fece finta di essere d'accordo con la soluzione e chiese un favore ad Atlante, di sostituirlo un attimo per poter cambiare spalle; Atlante cadde nel tranello e Ercole riuscì a scappare col bottino.

Le Fatiche di Ercole: I buoi di Gerione


Gerione, figlio di Crisaore e dunque discendente di Medusa, era uno spaventoso gigante il cui corpo, dalla cintola in su, si ramificava in tre corpi distinti, con sei braccia, e tre teste: un mostro insomma. Abitava nell'isola Eritrea e possedeva tra le tante ricchezze un grosso armento di magnifici buoi rossi che erano custoditi da Euritione, un gigante anche lui, e da un cane a due teste che si chiamava Ortos. Euristeo ordinò a Ercole di portargli i buoi. Per quanto l'impresa si presentasse difficoltosa, l'eroe, obbediente, partì: percorse la Tracia, l'Asia Minore, l'Egitto e proseguì lungo le coste dell'Africa settentrionale. Qui si incontrò con Anteo, figlio di Poseidone e di Gea, che aveva una statura gigantesca e una forza prodigiosa; prepotente e crudele, costringeva tutti coloro che passavano per la sua terra a lottare con lui e dopo averli vinti li uccideva. Ercole sapendo che la sua forza gli veniva meno quando non toccava più la terra coi piedi, lo sollevò in alto e riuscì a strozzarlo. Ripreso il cammino arrivò nel posto che divide l'Europa dall'Africa, che oggi si chiama stretto di Gibileterra, qui innalzò due colonne su ogni continente e da allora lo stretto venne chiamato Le colonne di Ercole. Il dio Helios gli prestò la navicella d'oro con la quale tresportava il sole e così Ercole potè arrivare all'isola Eritrea. Appena mise piede sull'isola il cane Ortos prese ad abbaiare ed Ercole con due colpi di clava si sbarazzò di lui. Con le sue frecce avvelenate eliminò sia Euritione che Gerione, caricò i buoi rossi sul carro di Helios e iniziò il viaggio di ritorno. Questa volta attraversò la Spagna e la Gallia. Qui fu assalito dagli abitanti del posto e invocò l'aiuto di Zeus per liberarsi di loro; Zeus scaraventò sul popolo una pioggia di sassi: questa è la ragione per cui oggi, Crau, in Provenza è cosparsa di sassi. Attraversò le Alpi e scese giù in Italia, arrivò a Pallantea, nel Lazio, dove fu accolto dal re Evandro. Ercole rimase li per una notte rifugiando i buoi in una caverna; in questo luogo c'era un gigante di nome Caco, che viveva di rapine e terrorizzava la gente. Il gigante, mentre Ercole dormiva, rubò i buoi e per non far capire dalle loro tracce la direzione del suo cammino, trascinò i buoi a ritroso in modo che le orme, invece di partire dalla grotta, facevano credere che vi si dirigessero. Al risveglio Ercole capì l'inganno, raggiunse Caco, lo uccise e finalmente potè raggiungere l'Argolide dove presentò i buoi rossi al re Euristeo.

Le Fatiche di Ercole: Le stalle di Augìa.

La nona fatica di Ercole fu quella di ripulire le immense stalle di Augìa, il re dell'Elide. Ricchissimo e potente, questo re possedeva ben tremila buoi, ma era tanto avaro che, per non spendere, non faceva ripulire, da più di trent'anni, le sue stalle. Appena la notizia arrivò alle orecchie di Euristeo, il suo pensiero corse subito ad Ercole, e infatti gli ordinò di ripulire in un giorno solo le sporchissime stalle dello spilorcio sovrano dell'Elide. In un solo giorno era impossibile trasportare fuori tutto il letame e ripulire per bene le stalle allora Ercole pensò di deviare il fiume Alfeo, così che le sue acque poterono trascinare via lo strato denso di letame. In tal modo le stalle vennero ripulite in un solo giorno.

Le fatiche di Ercole: le cavalle di Diomede, il cinto di Ippolita

Ares aveva un figlio di nome Diomede che regnava sopra il popolo selvaggio dei Bistoni, abitanti di una contrada della Tracia. Questo re era crudele e barbaro come suo padre e il suo popolo: aveva delle feroci cavalle che mandavano fuoco e fiamme dalle narici, e dava loro in pasto i naufraghi che disgraziatamente si ritrovavano sulle coste della Tracia. Euristeo comandò ad Ercole di portargli quelle cavalle. L'eroe si recò al palazzo di Diomede, portando con sè alcuni suoi amici fidati. Uccise o mise in fuga i servi poi catturò Diomende e lo diede in pasto alle sue cavalle come lui faceva coi poveri naufraghi. Quando le cavalle ebbero divorato il loro padrone le caricò sulla nave e le consegnò ad Euristeo come gli era stato ordinato.
L'ottava fatica di Ercole fu quella che viene chiamata "del cinto di Ippolita". Euristeo aveva una figlia di nome Admeta che quando sentì parlare della cintura di Ippolita, la regina delle Amazzoni, se ne invaghì e chiese al padre di averla a tutti i costi. Era un'impresa assurda e Euristeo sapeva che il capriccio della figlia non poteva essere soddisfatto ma ordinò ad Ercole di portargli la cintura di Ippolita. Le amazzoni abitavano un paese sulle rive del Mar Nero; era un popolo di donne guerriere che uccidevano senza pietà gli uomini che osavano avvicinarsi al loro regno; la regina Ippolita era sempre sorvegliata dalle sue donne, giorno e notte. Quando Ercole arrivò nel regno delle Amazzoni, contro ogni previsione fu accolto benignamente da Ippolita che quando seppe il motivo di quel viaggio, promise che avrebbe dato volentieri la sua cintura. Durante la notte però, ancora una volta Hera si mise contro, la dea aizzò le amazzoni e Ippolita dicendo loro che l'eroe voleva solo rapire la bella regina. Così l'intero popolo delle Amazzoni si scagliò contro Ercole che dopo tanto lottare riuscì a sconfiggerle, uccise Ippolita e le prese la cintura che portò ad Euristeo.

Le fatiche di Ercole: gli uccelli stinfalidi e il toro di Creta


In mezzo a una selva intricata e melmosa c'era uno stagno chiamato Stinfalo, li accanto vivevano certi uccelli mostruosi che si nutrivano di carne umana. Questi uccelli erano figli del crudele dio Ares, avevano il becco, gli artigli e le ali di bronzo, e usavano le penne come frecce per uccidere le loro vittime. Nessuno aveva mai avuto il coraggio di cacciarli, solo Ercole nella sua quinta fatica comandatagli da Euristeo, osò farlo. Per stanare gli uccelli dai loro nidi nascosti, l'eroe si mise a scuotere con forza un cimbalo che aveva portato con sé. A quello strepito gli uccellacci si spaventarono e uscirono dai rifugi, dando così modo ad Ercole, che era abilissimo tiratore con l'arco, di colpirli con le sue frecce avvelenate e di ucciderli tutti, uno a uno. La triste terra divenne allora abitabile e Euristeo fu anche questa volta obbedito.

Intanto nell'isola di Creta erano avvenuti dei fatti gravi. Minosse, il famoso re dell'isola, dovendo fare, per un suo voto, un sacrificio a Poseidone, aveva pregato il dio di fare uscire dal mare l'animale per un sacrificio degno di lui. Poseidone lo esaudì e fece venire fuori, dalle onde sulla spiaggia, un magnifico toro nero tanto bello che a Minosse parve un peccato ucciderlo: infatti tenne il toro per sé e sacrificò al suo posto un altro toro, più magro e gracile. Tale fatto offese Poseidone che per punire Minosse, infuse nel toro una furiosa pazzia tale da farlo diventare un flagello per l'intera isola. Euristeo, venuto a sapere dei fatti, ordinò a Ercole di portargli il toro nero vivo. Ercole partì, attraversò l'Egeo e sbarcò a Creta; si mise in agguato lungo una strada nell'attesa che il toro passasse, quando l'animale comparve Ercole lo affrontò, lo prese per le corna, l'obbligò ad inginocchiarsi e poi se lo caricò sulle spalle, attraversando il mare a nuoto, con quel grosso peso, andò a deporlo ai piedi di Euristeo.

Le fatiche di Ercole:il cinghiale di Erimanto e la cerva dai piedi di rame


La terza fatica che Euristeo comandò ad Ercole fu quella di portargli un terribile cinghiale che aveva il suo covo sulle pendici del monte Erimanto e devastava le fertili campagne dell'Arcadia. Quando Ercole arrivò sul posto, frugò in tutti gli anfratti del monte, si calò nei burroni, esplorò cespuglio per cespuglio e finalmente scovato il cinghiale lo inseguì fino sulle cime nevose, quando il cinghiale incominciò a stancarsi riuscì a catturarlo, lo legò per le zampe e se lo gettò sulle spalle robuste mettendosi in cammino per tornare a Tirinto. Nonostante le fatiche comandategli da Euristeo, Ercole aveva anche il tempo e la forza per altre imprese; tornando a Tirinto sgominò una banda di centauri che lo avevano assalito. Ercole li inseguì fino al loro rifugio, dove abitavano con il centauro Chirone, che fu suo maestro; nella foga dell'inseguimento, durante il quale scagliava frecce contro i centauri, colpì Chirone con una di queste e siccome erano frecce velenose, il povero Chirone morì.

La quarta fatica di Ercole fu quella della cerva che viveva sulle pendici del monte Cerinea, tra l'Arcadia e l'Acaia. Questa cerva aveva le corna d'oro e i piedi di rame, ed era sacra alla dea Artemide. Veloce e infaticabile, nessuno era riuscito mai a raggiungerla. Ercole ci provò. La caccia durò un anno, Ercole non si arrendeva alla velocità della cerva, anzi anche se la distanza tra loro era sempre enorme, lui imperterrito la inseguiva; la cerva lo portò ad esplorare, monti, boschi, campi , fiumi, posti desolati, sino al paese degli Iperborei, dove il mondo finisce. Qui la cerva iniziò a vacillare e vedendo che non c'era più terra tornò indietro, mentre lei era stanca, Ercole invece era ancora fresco e cominciò a raddoppiare i passi e la raggiunse, l'afferrò per le corna e se la caricò a spalla, portandola ad Euristeo.

Le fatiche di Ercole: il leone nemeo e l'idra di Lerna

Nell'Argolide c'era una valle chiamata Nemea dove viveva un mostruoso leone, nato da Tifone e dal Echidna, che devastava paesi, uccideva animale e uomini, di cui tutti gli uomini avevano paura. Questo leone era invulnerabile, nessuna arma era capace di scalfire la sua durissima pelle. Euristeo comandò ad Ercole che gli portasse la pelle di questo leone. Ercole affrontò il leone solo con la sua clava e il suo coraggio; il leone vedendo quell'uomo avanzare tanto audacemente si intimorì e si diede alla fuga. Ercole lo inseguì e lo spinse dentro una caverna senza uscita, lo stordì con la clava e lo squartò. Quando portò la pelle del leone ad Euristeo, non sapendo cosa farne la regalò a Ercole al quale invece fu molto utile, indossandola lo rese quasi invulnerabile come il leone.


Euristeo gli ordinò uccidere l'idra di Lerna. Lerna era una palude pestifera a sud di Argo. L'aria del luogo era talmente pestifera da uccidere tutti gli uccelli in volo, la causa di quest'aria tanto velenosa era il fiato di un drago immane e terribile che viveva tra il fango della palude; i pastori e contadini della zona chiamavano il drago Idra, e dicevano che il mostro avesse nove teste, nove bocche fameliche e diciotto occhi di fiamma; quando usciva dalla tana, devastava tutto e divorava greggi e mandrie. Ercole si recò a Lerna con il suo fedele compagno Iolao. Per far uscire dalla tana l'idra lanciò delle frecce, appena questa sbucò fuori con la sua clava riuscì ad abbattere due o tre teste, si accorse però che dal sangue delle teste abbattute nascevano due teste nuove. Ordinò allora a Iolao, di appiccare il fuoco a un gruppo di alberi e di bruciare le teste nuove che sbucavano con un tizzone ardente. In tal modo Ercole ebbe partita vinta. Prima di andarsene, intinse le sue frecce nel sangue delle ferite dell'idra e le frecce diventarono subito velenose.

Ercole:L'adolescenza


Cresciuto nella casa di Anfitrione, Ercole ebbe l'educazione di un principe, suoi maestri furono: Lino, nipote di Apollo e fratello di Orfeo, che gli insegnò la musica e l'uso degli strumenti musicali; Eumolpo, il canto; il centauro Chirone, l'astronomia e la medicina; Eurito, il tiro con l'arco; Autolico, la lotta; Càstore, l'esercizio delle armi; Radamanto, il diritto. Ercole aveva un temperamento piuttosto irascibile e non sapeva dominare i propri impulsi, una volta durante una lezione di musica Lino lo riprese e Ercole gli scagliò la cetra contro che gli colpì la testa e lo uccise. Per punizione, il re di Tebe, Creonte, lo mandò a badare buoi e pecore sul monte Citerone. Qui Ercole si irrobustì ancora di più e tanto era forte che un giorno uccise un grosso bue e se lo divorò tutto. Di questo periodo è l'episodio di Ercole al bivio: un giorno stava seduto solitario a pensare al suo futuro e alla strada da prendere, si presentarono due donne, la Mollezza, che gli offrì una via agevole, piena di piaceri; e la Virtù, che gli offrì una via faticosa che conduceva alla gloria. Il giovane scelse la via proposta dalla Virtù. All'età di diciotto anni uccise un terribile leone che devastava il paese e di cui tutti avevano paura. Un giorno, mentre tornava da una caccia, si scontrò con certi araldi del re Ergino, il re di Orcomeno, che mandava i suoi araldi a Tebe a riscuotere un tributo di cento buoi dovutogli dal re Creonte. Siccome era una pretesa ingiusta e gli araldi erano violenti, Ercole perse la pazienza e tagliò loro naso e orecchie e li rimandò al loro re legati. Il re mandò contro Ercole un intero esercito, che fu totalmente distrutto. Creonte per ringraziare Ercole dell'aiuto, gli diede in sposa sua figlia Megara.
Da Megara ebbe molti figli, senonché Hera, invidiosa della felicità di quella famiglia ricominciò ad odiare Ercole e gli tolse il senno: un giorno prese a percuotere moglie e figli fino ad ucciderli. Quando rinsavì sparse lacrime amare, pentito e umiliato andò a Delfi per interrogare l'oracolo, il dio gli ordinò di mettersi al servizio, per dodici anni, di suo cugino Euristeo, re di Tirinto. Euristeo, però non era ben contento di avere a suo servizio un uomo così pericoloso e tentò in tutti i modi di disfarsi di Ercole, imponendogli alcune imprese tra le più pericolose con la speranza che trovasse la morte. Queste furono le famose dodici fatiche di Ercole.

Hefèsto


Hefèsto, figlio di Zeus e Hera, che i romani identificarono con il loro Vulcano, era il dio del fuoco. Secondo una versione, sarebbe nato già zoppo e così deforme che la madre si vergognò di un figlio tanto brutto da scaraventarlo giù dall'Olimpo; rotolando, il dio sarebbe finito in mare, dove la nereide Teti e l'oceanina Eurinome l'avrebbero allevato in una grotta sottomarina. Secondo un'altra versione, forse più plausibile in quanto Hera veniva rappresentata come una madre premurosa e questo mito non le si addice proprio, Hefèsto sarebbe nato unicamente da Hera, gelosa del fatto che Zeus aveva dato alla luce da solo Atena; e fu Zeus a scaraventarlo giù dall'Olimpo irritato dal suo intromettersi tra i litigi del padre e della madre; rotolando giù fino ad arrivare all'isola di Lemno si sarebbe azzoppato nel toccar terra. Il dio zoppo, con l'aiuto di un misterioso nano che gli insegnò l'arte di lavorare i metalli, aprì un'officina di fabbro, utilizzando il fuoco del vulcano. Qui rimase nove anni. Tuttavia il dio desiderava tornare lassù sull'Olimpo tra gli altri dèi, e per soddisfare questo desiderio costruì un un magnifico trono d'oro finemente cesellato e lo mandò alla madre come dono. Appena Hera si sedette sul trono, fu afferrata da due braccia potenti di ferro che le impedivano di muoversi; nessuno riuscì a liberarla e allora Zeus mandò a chiamare Hefèsto che per liberare la madre dalle braccia del trono impose i suoi patti: egli doveva tornare sull'Olimpo, essere considerato al pari degli altri dèi e avere per moglie Afrodite; gli fu tutto concesso. Sull'Olimpo aprì un opificio, fabbricò lo scettro e il trono d'oro di Zeus; una meravigliosa collana per Armonia, figlia di Ares e Afrodite, come dono di nozze; due corazze d'oro per Ercole e una per Diomede; un'armatura completa con scudo per Achille; e un'altra per Enea; ad Apollo costruì un palazzo spendente, il Palazzo del Sole. L'arte di Hefèsto non si fermava qui, modellò statue a cui dava poi il movimento, la parola e la vita, per Zeus diede forma e vita a Pandora. Lavorava i metalli anche sulla terra, dove aprì altri laboratori; i principali erano a Lemno, dove aveva come aiutanti i Cabiri(dei demoni), e nell'immensa fucina sotterranea dell'Etna, dove aveva i Ciclopi come aiutanti e forgiava i fulmini di Zeus. Hefèsto veniva rappresentato come un uomo robusto dalle braccia muscolose, con la faccia barbuta, dai capelli scompigliati con sopra la testa un berretto di cuoio. La sua tunica da operaio era corta e senza maniche e lasciava la spalla destra scoperta. Nella mano destra reggeva un martello e nella sinistra la tenaglia.

Hèracle o Ercole: La nascita


Un giorno Zeus, vedendo gli uomini afflitti da troppi malanni e per i troppi mostri, decise di mettere al mondo un eroe, forte e coraggioso che potesse salvaguardare il genere umano. Come madre di questo eroe scelse Alcmena "la forte", che sorpassava tutte le donne di allora per la bellezza del volto e per la robusta sanità del corpo. Era sposata con il re di Tirinto, Anfitrione, figlio di Alceo e nipote perciò di Pèrseo. Zeus dovette andare fino a Tebe per vedere la bella Alcmena, in esilio con marito nella città perché bandito da suo regno: approfittò di un momento di assenza del marito della donna, che era partito per la guerra; prendendo le sembianze di Anfitrione ingannò tutti, anche Alcmena, che credendo che il marito fosse tornato dalla guerra lo accolse come una moglie affettuosa può accogliere il coniuge. Da quell'unione nacque Hèracle che i romani chiamavano Ercole.



Hera, prese ad odiare il piccolo Ercole prima ancora che nascesse. Zeus, sapendo che Alcmena era vicina al momento del parto, aveva giurato che il primo discendente della stirpe di Pèrseo avrebbe dominato l'Argolide e avrebbe avuto come suoi servi tutti gli altri Perseidi. Hera, che era la protettrice dei parti, fece in modo di ritardare di due mesi la nascita di Ercole, e affrettò quella di Euristeo, figlio di Stenelo, figlio di Pèrseo. In questo modo Euristeo divenne il signore dell'Argolide e Ercole dovette servirlo. Hera non si arrese, appena nacque Ercole, mandò nella culla del piccolo dei serpenti per avvinghiarlo in modo da ucciderlo; ma già appena nato il futuro eroe dimostrò il suo coraggio non spaventandosi dei serpenti anzi li prese in mano e strinse tanto da ucciderli.

Cerbero


Passate le acque dello Stige, dell' Acheronte, del Flegetonte, del Cocito e del Lete, si entrava nell'Erebo per una porta, a guardia della quale c 'era Cerbero, figlio di Trifone e di Echidna, cane feroce con tre teste, che stavano a rappresentare il Passato, il Presente e Futuro; con la coda di dragoe; terribili erano le sue urla. Accoglieva i morti nell'Ade: i morti dovevano placarlo offrendogli il dolce di miele che era stato posto nella loro tomba insieme con l'obolo per Caronte. Era persino terribile con i vivi che tentavano di forzare la porta degli inferi, si scagliò infatti contro Piritoo e Teseo quando cercarono di liberare Persefone. Placato da Orfeo con il suono della lira, da Enea con la focaccia preparata dalla Sibilla, fu domato solo da Ercole nella sua dodicesima e ultima fatica, l'eroe non lo uccise ma dopo aver dimostrato di averlo sconfitto, lo riportò nell'Ade.

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