Afrodite

Afrodite, la dea della bellezza e dell'amore, che i romani identificarono con Venere, era, secondo Omero, figlia di Zeus e della ninfa Dione; invece, secondo Esiodo, era nata in primavera dalla spuma del mare fecondata dai genitali di Urano che Cronos aveva scagliato in mare dopo la ribellione contro il padre. Afrodite, dal greco afros, la spuma, aveva anche l'appellativo di Urania, perché ancora figlia del Cielo. Appena emerse dalle onde, su una conchiglia di madreperla, Zefiro l'aveva spinta sulla riva dell'isola di Cipro, da qui gli appellativi di Anadiomene, l'emersa, e di Ciprigna. Appena la dea mosse i primi passi sulla spiaggia, i fiori sbocciarono sotto i suoi piedi, e subito le vennero incontro le Ore, le Cariti, Peito, la persuasione, Potos, il desiderio, Himeros, il la brama, per accoglierla, onorarla e servirla. La vestirono con un vestito bellissimo e una cintura, le misero boccole d'oro e di gemme alle orecchie, braccialetti ai polsi e una collana splendente al collo. Dal cielo arrivò un carro di gemme, tirato da due colombe, la dea vi salì e fu così assunta in Cielo. Zeus la diede in moglie ad Hefesto; ma la sua idea non fu delle più felici; non si può unire in matrimonio la dea più bella con il dio più brutto. Afrodite veniva rappresentata nel fiore della sua giovinezza, avvenente, graziosa, tutta ingioiellata e sorridente. Il suo volto era ovale, delicato e gentile; i suoi occhi grandi, tremuli, avevano uno sguardo soave e languido che ispiravano tanta dolcezza. Sopra il vestito portava una cintura magica, dove erano raccolti tutti i vezzi, le grazie, il sorriso che promette ogni gioia, i teneri dialoghi degli innamorati, i sospiri che persuadono e il silenzio espressivo. Erano sacri ad Afrodite: tra le piante, il mirto, la rosa, il melo, il papavero; tra gli animali, il passero, la lepre, il cigno, il delfino e soprattutto la colomba. Dalle sue varie unioni ebbe alcuni figli, dal troiano Anchise ebbe Enea; dal dio Dioniso ebbe Imene, il dio delle feste nuziali; da Ares ebbe due figli terribili, Eros, amore, e Anteros. I poeti greci raccontano che quando Afrodite ebbe Eros, si lamentò con la dea Temi perchè il figlio non crescesse; Temi le rispose che il bambino non sarebbe cresciuto finchè non avesse avuto un fratello. Allora Afrodite diede vita ad Anteros che significa "colui che ricambia l'amore"; così i poeti con questa graziosa leggenda hanno voluto dire che l'amore, per poter crescere, deve essere ricambiato.

3 commenti:

  1. Leggendo il tuo articolo è nata in me una serie di riflessioni sulla condizione della donna.
    Non tutti sanno che, nella civiltà occidentale, Afrodite sia diventato un archetipo, spesso sinonimo di una donna che vuole essere seducente ad ogni costo, intrattenendo con gli uomini un rapporto puramente erotico e privo di aspetti affettivi ed intellettuali.
    La professoressa canadese Ginette Paris nel suo libro “La rinascita di Afrodite” ha riletto in una chiave decisamente femminile il mito di Afrodite, indicando la via che rimanda al mondo interiore del femminile, ai sui bisogni profondi, alle sue le risorse sopite, se non brutalizzate.
    Una femminilità interiore che conduce dritti dritti verso il “rapimento” dell’essere vitali e gioiosi. Afrodite “dai begli occhi”, sempre incantatori, “dal trono variopinto, tessitrice di inganni”, mostra una sessualità libera che non è mai fine a se stessa, ma che si propone come un vero e proprio cammino di iniziazione a stati che dall’istinto portano alla coscienza.
    Questa è un’esperienza che si sposta gradualmente dall’amore sensuale alla bellezza e dalla bellezza all’estasi, che si ricollega psicologicamente al momento dell’orgasmo.
    E qui ritorna a chiudersi il cerchio della circolarità del pensiero femminile.
    La studiosa canadese mette in luce la simbolizzazione e quindi l’identificazione di quello che ella definisce la “femminilità interiore”, imprigionata da secoli di cieco patriarcato, nelle sue più incantevoli manifestazioni di fantasia, di delicatezza, di dolcezza, di appassionamento esclusivo.
    La rinascita di Afrodite è allora per noi la riscoperta di una sessualità affrancata dall’ombra del peccato e del male, vissuta come dono naturale di bellezza e di piacere, come un’esperienza mistica e come un’apertura diretta al divino.
    Annamaria
    ma continua

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  2. Il mondo occidentale, maschilista nel senso più bieco, ha sempre tralasciato questo archetipo simbolico di amore come forma di civilizzazione, ma ha sempre sottolineato l’aspetto deteriore di Afrodite, accolta nella tradizione come una vana pornografia che vede il corpo come intercambiabile e privo di unicità.
    Ma chi era in effetti Afrodite?
    Afrodite era una donna, una sacerdotessa, una dea, portatrice di un modo di vivere ispirato alla bellezza e al godimento dell'altro. Bellezza non intesa come perfezione o arroganza dell’Io, ma come dono totale di sé attraverso l'amore sensuale.
    D’accordo, Chicco, la mitologia classica è piena degli intrallazzi di Afrodite. Ma fra tutti me ne piace uno in particolare: quello di lei con Ares, che doveva avere davvero un caratteraccio. Lui era il signore della guerra, rissoso, manesco, ma che cosa gli accade di fronte alla sua divina sorella?
    Si placa, si rasserena, poggia il suo collo divino sul grembo della sua divina sorella e la sua divina sorella lo coccola, lo disarma, lo fa riposare sul suo eburneo seno.
    Non penso sia poco fermare la guerra! E dopo quell’amplesso in cui lei, archetipo della bellezza, magari solo accarezzando i suoi bicipiti, è concepito un dio Eros, l’amore, un dio terribile come suo padre e dolcissimo come sua madre.
    Il dialogo interrotto dell’uomo contemporaneo con il mito classico, archetipico, come lo definiva Jung, rimane un fattore comunque ineludibile. Se vogliamo stare bene con noi stessi dall’intero Olimpo che c’è in noi tutti non possiamo escludere nessuna delle divinità e se la stigmatizzazione di Afrodite che le culture di ogni epoca simboleggiano, l’esclusione e la mortificazione del femminile, cioè di Afrodite, ha provocato danni irreversibili, mali psicologici che sfociano spesso in brutalità disumane.
    Tutto questo significa non onorare Afrodite.
    Afrodite è bellezza, ma non bellezza vuota intesa come forme aggraziate che conducono all’estasi dei sensi, ma è anche bene.
    Afrodite è accogliente, Afrodite è madre, Afrodite è rilassante e…. che cosa sarebbe la vita, che cosa sarebbe l’amore senza l’aurea Afrodite?
    Senza di lei nulla esisterebbe.
    Perdona le mie divagazioni psicosociologiche, ma volevo fare solo un tantino di giustizia a questa dea, tanto bistrattata e tanto vilipesa.
    Un bacio
    Annie
    P.S. Complimenti per il sito è davvero molto bello

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  3. Lucrezio apre il suo poema “Sulla natura” con un proemio in cui si rivolge ad una divinità, che egli chiama Venere, e, dopo averne attestato la potenza, invoca da essa durevole bellezza al suo
    canto e serenità per l'animo suo e pace per la sua patria.
    Il fatto poi che in esso compaia una, o che piuttosto compaiano due divinità, e che queste siano insistentemente invocate perché conce¬dano protezione, è parso incoerente con altre affer¬mazioni di Lucrezio, che nega ogni cura delle cose umane da parte degli dèi.
    Per alcuni Venere è stata considerata figura allegorica indicante la potenza del¬l'amore, o la personificazione delle forze della natura, o il principio della vita nella Natura o la hedoné-voluptas epicurea. Per altri questo passo è solo la tradizionale invocazione alle Muse o anche la personificazione dei due opposti principi empedoclei dell’Amore e dell'Odio, presentati sotto i nomi di Venere e Marte o solamente un ritorno alla mitologia tradizionale. Nessuna di queste interpretazioni è completamente soddisfa¬cente: infatti nessun simbolo riesce a spiegare il brano in ogni sua parte, e pochi tengono conto della presenza, egualmente sconcertante, della figura di Marte.
    Mi pare più avveduto riconoscere che una vera allegoria non ci sia e fermarsi perciò a valutare il valore poetico del brano, del quale, al di là di letture psicanalitiche di tipo femminista, intendo riportare uno stralcio.
    «Madre degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dei, alma Venere, che sotto i vaganti astri del cielo popoli il mare solcato da navi e la terra feconda di frutti, perchè solo per te si forma ogni specie vivente e, una volta sbocciata, può vedere la luce del sole: te, o dea, te fuggono i venti, te e il tuo primo apparire fuggono le nubi del cielo, per te la terra operosa suscita i fiori soavi, per te ridono le distese del mare ed il cielo placato risplende di luce diffusa.
    Non appena si svela il volto primaverile dei giorni e il soffio del fecondo Zeffiro prende libero vigore, per primi gli uccelli dell’aria annunziano te, nostra dea, e il tuo arrivo, i cui cuori sono turbati dalla tua forza vitale.
    Poi anche le fiere e gli armenti balzano per i prati in rigoglio e guardano i rapidi fiumi: così prigioniero al tuo incanto ognuno ti segue ansioso dovunque tu voglia condurlo.
    E infine per i mari e sui monti e nei corsi impetuosi dei fiumi, nelle frondose dimore degli uccelli, nelle verdi pianure, infondendo nel petto di tutti la dolcezza dell’amore, fai sì che nel desiderio propaghino le generazioni secondo le stirpi.
    Poiché tu sola governi la natura delle cose e nulla senza di te può sorgere alle divine regioni della luce, nulla senza te può prodursi di lieto e di amabile, desidero di averti compagna nello scrivere i versi che intendo comporre sulla natura di tutte le cose»
    Zio Max

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